Una delle difficoltà poste dal digitale ai fotografi abituati a scattare con la pellicola è quella della previsualizzazione del bianconero, a fronte di un display o file raw che contiene anche tutte le informazioni sul colore.
Sapere di disporre del fotogramma a colori disturba, intacca il senso di univocità di una foto che nella nostra testa è monocromatica. In realtà, è solo una questione psicologica, dato che è ciò che abbiamo sempre fatto trasponendo mentalmente in bn un’immagine che nel mirino vediamo comunque a colori.
Chiunque scatti una foto ha un’idea preliminare dell’immagine che desidera ottenere. Più è definito lo stile personale e più quell’idea corrisponderà al risultato finale, e la composizione sarà funzionale al risultato previsualizzato.
Il colore influenza sempre e comunque il pattern visivo, anche quando si vuole scattare in bn. Coloristi e bianconeristi sono accomunati da una identica sensibilità ai toni, alle forme, alle bizzarrie, alle ridondanze, alle omissioni, ai ritmi, alle rime, etc…Di diverso c’è nel colorista una maggiore attenzione alle vibrazioni sottili delle tinte. Nel bianconerista una speciale attenzione alla
disposizione delle masse.
Sapendo di commettere un peccato di superficialità sintetizzo così: il colorista è più attratto dalla luce, il bianconerista dalle ombre. L’uno e l’altro, tuttavia, sono ugualmente in grado di cogliere un’armonia cromatica o un particolare equilibrio dei volumi. Su questa base comune il digitale offre una possibilità in più. La seconda chance. Io in genere provo a pensare fotograficamente in bianconero se ritengo che ciò che sto fotografando debba essere cosi ripreso, poi visualizzo il file su pc e lo trasformo in bn. A volte invece decido di passare al bn solamente dopo aver visualizzato il raw sul monitor. E’ normale. La seconda chance è rappresentata dallo scatto a colori che poi a posteriori diventa bn, quindi grazie ad una scelta consapevole eseguita a posteriori e non al momento dello scatto: è una possibilità che tengo presente, quando passo in rassegna le mie immagini.
Se mi sembra che una foto riveli un’altra plausibilità, provo a indagarla. Non è utile impelagarsi in una falsa questione etica, come se previsualizzare sia legittimo solo al momento dello scatto e tutto il resto vada considerato un mero espediente. Mi sembra un vincolo “vecchio”, un retaggio del passato. Riconosco il valore fondamentale dell’attimo, il qui e ora del clic. “Clic” però non è solo il tempo dell’otturatore, ma tutto il processo mentale nel quale l’immagine si sviluppa e prende forma, dal “prima” dello scatto allo sviluppo finale.
Avere una disciplina dello sguardo è cosa necessaria e va seriamente coltivata, ma castrare le infinite.
possibilità di uno scatto in ossequio a un malinteso mito dell’estemporaneità è inutile e forse pure ipocrita.
Ogni immagine contiene infinite potenzialità che poi la rendono unica e non c’è nulla di male ad esplorarle anche a posteriori sfruttando con sapienza le risorse messe a disposizione dalle nuove tecnologie.
Queste considerazione ne aprono una serie di altre relative al fotoritocco, cosa su cui peraltro sono molto contrario quando si va “oltre”.
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