Margaret Bourke-White diceva che occorre “trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare, perchè, oltre a essere un fotografo, sei un essere umano un po speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto”. E immagino non si riferisse solo ad un luogo speciale.
C’è una discreta differenza tra il campo visivo della macchina fotografia e quello umano. Certamente qualcuno potrebbe dire che quello della macchina fotografica (usando un grandangolare) è certamente molto più ampio di quello umano (equivalente ad una focale di 50mm). Ma se ci si riferisce al campo visivo intimo e personale, allora è tutta una storia diversa.
Una buona porzione di campo visivo intimo può coincidere con quello fotografico quindi, ma non sempre. Coincide quando ciò che vedi si limita al bello superficiale mentre è leggermente spostato quando invece c’è anche dell’altro. E questo altro è una fotografia 3D guardata senza gli appositi occhiali. Quello sfasamento che c’è, è da attribuirsi a quello che veramente vedi e senti, con uno sguardo che non è superficiale ma è, appunto, intimo. E se non utilizzi uno strumento “speciale” per produrre e leggere lo scatto, il risultato sarà pessimo, illeggibile. E lo strumento non è certo hardware. E’ quel ricevitore che abbiamo e che identifichiamo con il “cuore”.
Questa è Fotografia, che nulla ha a che vedere con un selfie o una ripresa con cellulare come atto di attestazione del “ero li”. Quella è solo immagine.
Fotografia è altra cosa, perchè il fotografo ha altri scopi, che non si realizzano certo con ”ho scattato qualcosa per dire che ero LI” quanto piuttosto “ ho scattato LI per dire qualcosa”. Una discreta differenza direi.
Ho una netta preferenza per la fotografia di viaggio, per quella naturalistica e paesaggistica. In tutto questo mi ritrovo, perchè amo la natura, amo i contrasti, i paradossi e le diversità. Amo vedere cose nuove, sorprendermi, imparare. Perchè penso che uno degli scopi della vita sia fare esperienza e la diversità e il relazionarsi con l’insolito o ciò che non si conosce è fonte di ispirazione nella fotografia come nella vita.
Viaggiare è una delle esperienze umane più appaganti e stimolanti. Ogni volta che mi trovo a dover partire, nella ritualità della preparazione dell’attrezzatura, provo sempre un po’ di eccitazione. Vorrei portare via ogni obiettivo, tutti i filtri e tutti gli accessori ma nella maggior parte dei casi questo diviene impossibile, in quanto il peso dell’attrezzatura sarebbe tale da rendere una passeggiata a piedi, una vero inferno.
Allora finisco col tagliare il peso lasciando nello zaino solo due reflex ed un paio di obiettivi per coprire focali che vanno da 24mm a 200mm. Carico le batterie, formatto le memorie, pulisco le macchine… E’ un rito propiziatorio.
Ho avuto modo in questi anni di girare un po il mondo, spostandomi dall’Oriente all’Occidente, passando per quello che sta in mezzo.
E quando mi trovo di fronte ad esempio ad uno spettacolo della natura, ho una sorta di ansia da prestazione, dato che registrare ciò che vedo non è sempre facile e la paura è di non riuscire a rendere giustizia alla bellezza e tutte quelle sensazioni che essa è in grado di muovere. E’ come essere un bambino in un parco giochi circondato da ogni attrazione possibile. E il rischio è di finire come l’asino di Buridano.
Quando sono in un luogo, cerco di farne parte. Come i grandi della fotografia di questo genere insegnano, devi essere parte del paesaggio, devi sentirlo e ti deve appassionare. Devi provare amore, devi cercarne l’essenza e riuscire a capire come mostrarla. Devi cercare quelle vibrazioni che si sentono nell’aria, nei profumi, nei silenzi o nei rumori, nella luce e nelle ombre. Una fotografia di paesaggio non deve essere il paesaggio, non deve copiare quello che la natura ha progettato, disegnato e costruito nell’arco di un tempo infinito. Devi trovare il modo, come in un ritratto, di mostrarne i tratti, le sensazioni che provi o di esaltare quello che vedi e ti si offre davanti alla macchina. Devi prenderne l’anima.
Ho imparato due cose viaggiando: la prima è che spesso quello che risulta brutto, allo sguardo attento può contenere tanta bellezza, una storia, possedere il fascino del tempo, insomma avere uno o più valori . La seconda è che puoi andare dall’altra parte del mondo e ritrovare le stesse cose di altri luoghi da li distanti. E questo vale anche per le persone. Questo è incredibile perche sei in un luogo che non centra nulla con un altro eppure per un attimo provi quella sensazione di smarrimento e di confusione percui non sai più dove ti trovi esattamente. E vale anche per le persone: in fondo un essere umano è un essere umano ovunque si trovi. I suoi desideri, le necessità, i sogni cambiano d’abito ma la sostanza è sempre la stessa.
Quando riguardo alcuni scatti, li trovo cosi simili fra loro nonostante la diversità e le distanze dei luoghi in cui sono stati raccolti. Il mondo è cosi tanto diverso, variopinto, eppure si poggia su una linea comune come se fosse in “nessuno spazio” e ogni luogo fosse semplicemente girato l’angolo. A volte mi chiedo, dopo aver dormito alcune ore in aereo, se ho viaggiato sul serio. O se semplicemente lo spazio sta nella mia mente.
Amo questo genere di fotografia, perché trovo così tanta energia nel proiettarmi altrove, dove, non assoggettato all’abitudine dello sguardo, riesco ad emozionarmi. E’ una ricerca di bellezza, anche laddove si pensa non possa esistere. E’ una ricerca di connessione con l’anima dell’Universo. Un modo per cercare non di fermare il tempo, ma di fermare quel particolare stato d’animo. E la fotografia aiuta a guardare, a cercare, a cambiare punto di vista e posizione. Spesso diventa indagine e forse lo è più su se stessi che verso il soggetto.
E quando sei li davanti a quella meraviglia che a breve registrerai per sempre, tiri un sospiro come se fosse un ultimo appagante giorno di vita, certo del fatto che più di così non potevi vedere e provare. E scatti, come fosse suonare il citofono di qualcuno per avvisare che sei arrivato.
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