Ad agosto sono tornato presso la galleria del fotografo australiano Peter Lik a Las Vegas. L’avevo scoperto nel 2012 passandoci davanti per caso. Ero rimasto tanto meravigliato quanto perplesso. E anche questa volta, lo stato d’animo è stato il medesimo e forse ancora più sconcertato quando ho cercato di andare un poco più a fondo.
In estrema sintesi, con tutto l’impegno possible quello che ho visto non si può definire arte. Ma quando ho visto sul sito di Lik il “The 2015 Amerinca Art Award”…. Beh ho pensato “questo è troppo”. Di “ART” io non ne vedo traccia: c’è tanto markeing, soldi, e capacità di sfruttare l’ignoranza (in senso buono) di chi compra un’immagine pensando di avere in mano un’opera d’arte e una fotografia dall’altissimo valore artistico. Perche cosi viene proposta e venduta.
Le fotografie di Lik, sono scontate, a volte banali, pesantemente ritoccate. Se Lik non la definisse come Fotografia allora potrei applaudire, in particolare per la scelta dei supporti e della location.
Quando si entra nelle sue gallerie, ammetto, si resta sorpresi. La realizzazione delle opera è notevole, la qualità della stampa straordinaria e l’illuminazione semifrontale pure. Penso che questo sia il vero punto forte. Se togli la luce, di quella sorpresa resta bene poco. Mi sono interessato alla tecnica di stampa: ammetto che è stato molto bravo a trovare un metodo che rendesse le sue immagini cosi “esplosive”… ma quando il fumo dell’esplosione svanisce… resta il vuoto.
I venditori nella galleria sono come quelli dei concessionari di auto (senza nulla togliere ai venditori di auto): lo dico per una questione di approccio alla vendita, ed in effetti hanno in comune il fatto che non vendono arte. Non si spiega altrimenti il motivo per il quale il venditore debba esaltare il supporto, il sistema di tracciabilità, il fatto che le sue fotografie costano molto e che ha venduto uno scatto a 6 milioni di dollari, dando per scontato il contenuto: lo ritengo normale, il contenuto non c’è.
Che qualcuno possa avere comprato una sua opera a 6 milioni di usd (sempre che sia vero ma credo di si) è sorprendente… non si tratta certo di un investimento, dato che il valore delle opera di Lik esiste solo all’atto dell’acquisto e non quando le si rivende. Posso solo pensare a qualcosa di simile ai rubinetti d’oro di qualche uomo del petrolio.
Faccio i miei complimenti a Lik per il lavoro che fa e la capacità commerciale che ha: se dobbiamo fare una valutazione sul guadagno, ha ragione lui e da questo punto di vista ha tutta la mia stima. Ma sarebbe poco carino ridurre l’arte relazionandola al guadagno dell’artista. Quindi dal punto di vista fotografico, lo trovo quasi offensivo e trovo una profonda violenza nei confronti della fotografia che viene sfruttata in maniera sconsiderata e cercando un guadagno solo sull’apparenza e l’impatto effimero di come sono presentate le opere, facendo leva sulla superficialità. Per quanto mi riguarda non sono ne fotografie (alcune sono solo immagini, altre infografie) e tanto meno opera d’arte. E di infografie ne ho viste di migliori. Fra l’altro basta girare li intorno per trovare un altro fotografo che ha ripreso i medesimi soggetti nel medesimo modo: se non fosse per il supporto e la galleria molto grande e spaziosa, non li si distinguerebbe nemmeno. E che non si dica che Lik è un riferimento…. semplicemente è tutto un cliché, quindi c’è poco da riferirsi e molto da trovare in Internet di uguale. Se invece parliamo di attitudini commerciali, allora è altra storia: vendere un’opera a quei prezzi con quei contenuti non è da tutti anzi, quindi tanti e tanti complimenti. E’ come vendere una Fiat Punto facendola passare per una Ferrari. Chiunque capirebbe che sarebbe un pessimo affare perchè di auto paradossalmente c’è più cultura di quanto ce ne sia di fotografia. E non lo dico io… lo dice lui (ma poi sotto trovate I dettagli) quando ha dichiarato che le sue opere «Sono come una Mercedes-Benz. Già quando la guidi per la prima volta fuori dal concessionario, perde metà del suo valore». Ciò detto, sarei allora curioso di sapere come farebbe a spiegare che si tratta di Arte.
Riporto qui di seguito un bellissimo post che a mio avviso centra in pieno la questione e riassume molto bene tutta la storia. La fonte è il sito www.ilpost.it (link dell’articolo: www.ilpost.it/2015/03/04/peter-lik-fotografia-phantom).
Concludo il mio post nello stesso modo in cui è concluso il post qui di seguito: «Se questo è lo scatto più prezioso di arte fotografica della storia, Dio salvi la fotografia d’autore».
“Le foto di Peter Lik, stracriticate e stravendute”
Ha 15 gallerie, una sua foto è stata venduta per 5,7 milioni di euro, in tutto ha incassato 389 milioni: ma non è affatto ben visto da galleristi ed esperti del settore
Peter Lik è un fotografo, anzi: è il fotografo autore della fotografia considerata la più pagata al mondo, ben 5,7 milioni di euro. “Considerata” perché la fotografia “Phantom”, una vista in bianco e nero delle pareti dell’Antelope Canyon in Arizona con un fascio di luce centrale (che sarebbe il “fantasma” del titolo), è stata venduta a dicembre 2014 a un acquirente privato anonimo, ed è quindi difficile confermare ufficialmente la vendita e soprattutto la cifra.
Se fosse vero, “Phantom” avrebbe superato l’opera di Andreas Gursky, “Rhein II”, venduta in un’asta del 2011 per 3,8 milioni di euro, e la fotografia di Cindy Sherman “Untitled #96”, comprata sempre a un’asta nel 2011 per 3,4 milioni di euro. La differenza tra Gursky, Sherman e Lik è che i primi due fotografi hanno fatto mostre in famose gallerie d’arte e sono conosciuti e rispettati nell’ambiente, mentre Peter Lik possiede quindici gallerie negli Stati Uniti, ha venduto fotografie per circa 389 milioni di euro ma non è apprezzato da critici e galleristi. Le sue foto sono principalmente scatti panoramici di alberi, cieli, laghi, deserti e città stampati in colori super saturi, molto brillanti.
Peter Lik è un cinquantacinquenne fotografo australiano che non ha mai studiato fotografia. Lavorava in un negozio di cartoline in Australia e ha “imparato sbagliando”, dice; non è interessato all’arte e alla fotografia in generale, se non la sua. Passa tre mesi l’anno in giro per gli Stati Uniti, fotografando paesaggi e natura, per incrementare la sua collezione di scatti per le gallerie. Ha aperto il suo primo negozio nel 1997 a Cairns, Australia, per poi ingrandirsi, grazie al suo successo, alle Hawaii nel 2003 e due anni dopo a Las Vegas. Ora possiede quindici gallerie, tra cui due a Manhattan e quattro a Las Vegas.
Ogni fotografia di Lik viene stampata in “edizione limitata” di 995 copie: la prima viene venduta intorno ai 3.500 dollari, poi pian piano il prezzo sale intanto che le copie disponibili scendono: si arriva a cifre intorno ai 175mila euro per l’ultima stampa. L’idea è trasmettere “fretta” al compratore: prima si compra, meno si paga. Con la fotografia “Phantom” invece Lik ha provato un altro tipo di esperimento di vendita, stampandone soltanto una copia. Dopo aver avvisato una manciata di collezionisti, ha fissato il prezzo a 5,7 milioni di euro, cifra che un anonimo avrebbe effettivamente pagato.
I critici e le gallerie d’arte tradizionali non apprezzano i lavori di Lik, considerandoli opere mediocri, buone per vendere al grande pubblico (ma se fosse così facile ci riuscirebbero tutti, invece no): «L’arte, qualsiasi sia il medium scelto per crearla, è qualcosa che commuove e trasmette, o che cambia la nostra opinione. Questi lavori non hanno nulla della fotografia creativa, e la tragedia è che trascinano giù tutto il resto del business», ha detto Michael Hoppen, gallerista londinese.
Nelle gallerie di Peter Lik le fotografie vengono vendute in modo diverso da una galleria tradizionale, dove l’idea è creare un’ambientazione da museo e non lasciar trasparire al collezionista o al compratore l’aspetto commerciale delle opere. Nelle gallerie tradizionali gli impiegati non andranno mai da un cliente a chiedere se ha bisogno di qualcosa, come in un negozio: tutto ha un prezzo, ma se lo si vuole sapere bisogna chiederlo. Nella galleria di Lik le cose funzionano in modo diverso, a partire dal fatto che gli impiegati vengono chiamati “consulenti d’arte” e che, nei quattro giorni di corso di formazione, imparano un numero di frasi approvate dalla società per rompere il ghiaccio e per incoraggiare il dialogo con i clienti sulle fotografie (per esempio: “Sono incredibili, non trova?”).
Molti dei clienti di Lik non sono esperti del mercato d’arte, che comprende un mercato secondario dove le opere vengono rivendute a volte a prezzo maggiorato: queste persone pensano, sbagliando, che siccome i prezzi delle fotografie salgono nelle gallerie di Lik, la stessa cosa succeda nel mercato secondario. Quindi in teoria se si compra una delle prime copie di una fotografia, pagandola intorno ai 3.500 dollari, circa 4.000 euro, dovrebbe essere un affare rivenderla più avanti, quando in negozio lo stesso scatto avrà raggiunto un prezzo più alto; questi clienti però confondono il concetto di prezzo, deciso dalla galleria, e di valore, deciso invece dal mercato, dove le opere di Lik non hanno molto successo.
Nelle gallerie di Lik i commessi sono istruiti per far pensare al cliente di star facendo un investimento, non di star spendendo soldi, senza però ingannarli fino in fondo. A una domanda diretta del cliente sul valore futuro di un quadro, un commesso risponderà: «Lo compri perché le piace, non ci sono garanzie sul valore futuro». Lo stesso Lik, rispondendo a una domanda sul perché le sue opere nel mercato secondario non hanno lo stesso valore a cui vengono venduti nelle gallerie, ha detto: «Sono come una Mercedes-Benz. Già quando la guidi per la prima volta fuori dal concessionario, perde metà del suo valore».
Jonathan Jones, giornalista e critico d’arte del giornale inglese del Guardian, ha definito la fotografia “Phantom” un banale poster, di quelli che si trovano negli alberghi pretenziosi. Il discorso di Jones prende in considerazione questo genere di fotografia, dicendo che non è arte ma tecnologia. Il critico d’arte ha spiegato che nell’era delle macchine fotografiche digitali, dove anche con un iPad si possono fare foto bellissime, una bella foto è soltanto la prova che la tecnologia è ottima: per fare un’opera d’arte serve qualcosa di più. Jones ha anche criticato il fatto che “Phantom” sia in bianco e nero, un effetto che possiamo creare ormai con qualsiasi cellulare e che è studiato apposta per dare un effetto romantico e “intenso” agli scatti.
Jones ritiene che una fotografia come questa non possa essere considerata arte perché Lik non ha aggiunto nessun valore a quello che era già presente in natura: l’Antelope Canyon è molto scenografico ma “Phantom” non è per nulla originale. È un cliché, facile da vedere, facile da capire. Jones ha concluso il suo articolo dicendo: «Se questo è lo scatto più prezioso di arte fotografica della storia, Dio salvi la fotografia d’autore».
Rispondi