L’autofocus a rilevamento di fase (normalmente utilizzato nelle reflex) è quello che a iniziato a diffondersi negli anni ottanta. Uno specchio (secondario rispetto a quello principale che devia la luce nel mirino) devia la luce verso un copia di sensori lineari costituiti ciascuno da un dato numero di pixel. A seconda di come è regolata la messa a fuoco, in relazione al soggetto inquadrato, i due sensori riceveranno il massimo della luce su determinati pixel e non su altri. Questo consente al sistema di sapere se il piano di messa a fuoco è davanti o dietro al soggetto e quindi di muovere le lenti per spostare il raggio di luce verso la zona centrale dei sensori lineari. Quando i due sensori vengono illuminati sugli stessi pixel si ottiene la concordanza di fase che coincide con la perfetta messa a fuoco. A questo punto tutto è pronto per lo scatto.
Archivi del mese: dicembre 2015
Vedere al buio
Sono rimasto incuriosito da una sperimentazione che Canon in Giappone ha fatto con un sensore speciale da 35mm. Sono riusciti a riprendere il volo delle lucciole in una zona completamente buia. In pratica il sensore è riuscito a registrare un video di buona qualità laddove non era presente luce. Pensare di registrare un’immagine in assenza di luce è straordinario. O meglio di luce c’è n’era ma non più di 0.01 lux quindi buio per l’occhio umano ma non per questo particolare sensore.
Eugene Smith
A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?
Regole: basta l’onestà
Riporto parte di un articolo interessante pubblicato sulla bella rivista Fotocult nel numero di novembre 2015.
“Nel febbraio 2014 il reporter Andrew Harper pubblica sul suo profilo Twitter la fotografia di un bambino solo, in mezzo al deserto, mentre trascina a fatica una pesante borsa, aiutato ad alcuni operatori dell’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’aveva scattata lungo il confine tra la Siria e la Giordania. Il commento che accompagna la foto recitava: Marwan, 4 anni, temporaneamente separato dalla sua famiglia, è assistito dallo staff dell’UNHCR.
La notizia viene ripresa dai giornali di tutto il mondo e diventa in poco tempo una storia di romanza da appendice. In Italia, il quotidiano La Stampa scrive: un bimbo perduto nel deserto Giordano, ai confini con la Siria in fiamme, che cammina con l’estinzione degli innocenti alla ricerca della sua famiglia smarrita. Questa storia di profughi ha un lieto fine: una squadra delle Nazioni Unite che lo incontra, per caso e lo sala.
Non aumentiamo la cultura ma solo il numero di obiettivi
Sono rimasto non poco sorpreso… insomma che la corsa ai megapixel nelle fotocamere fosse come la corsa all’oro ok…. il tutto poi spacciando il concetto che più megapixel hai e più la foto sarà buona. Logiche di mercato insomma, niente di nuovo!!
Il motivo della mia sorpresa non è stato tanto vedere che in una “compatta” ci stavano dentro ben 52Mpixel, quando per come è fatta e per come li raggiunge:
La fotografia è un negozio
I recenti avvenimenti legati agli attentati terroristici o alle migrazioni di intere popolazioni che scappano dalle guerre sono stati narrati da centinaia di scatti. Alcuni di questi sono già tristi “icone”. Hanno sconvolto il mondo e forse qualcuno di questi ha anche risvegliato le coscenze fino ad arrivare a smuovere i potenti della terra (o almeno alcuni). Strategia politica o sentimento? Sono un romantico ma non un ingenuo.
Lungi da me voler scrivere un post legato a queste “patologie” del nostro mondo e del nostro tempo e sperticarmi in analisi di cui la stampa e la tv sono ormai piene zeppe. Vorrei affrontare il tema solo dal punto di vista “filosoficamente fotografico” in quanto l’immagine è parte integrante della nostra vita, conviviamo in modo passivo con le immagini che ci passano davanti agli occhi nostro malgrado ma anche in modo attivo con quelle che noi stessi generiamo e condividiamo (per esempio attraverso i social).
Siamo consumatori e produttori di immagine allo stesso tempo.